Dal diario di Jack Buxton: 13 maggio 2003

In quel periodo passavo le giornate a guardare film in dvd noleggiati sotto casa e fumare sigarette rollate. Nelle pause la fottevo distrattamente ma a lungo. Era come andare a lavoro ma senza i colleghi.

Quella sera era diverso. Forse iniziava a piacermi la vita che facevo, o forse no.

Me ne stavo sdraiato sul letto, con aria da gran signore, poggiandomi su un fianco mentre osservavo i quadri che le avevo fatto comprare alla galleria d’arte in Viale della Repubblica. “Passami un sigaro, piccola”. Me lo passò dopo averlo preso dal cassetto del comodino. “Non così”, dissi, “prima fai come ti ho insegnato”.

Lei sorrise e mi diede un bacio sulla spalla destra. Lo passò tra le grandi labbra, e poi lo fece andare dentro e fuori per bagnarlo. “Basta così che poi non accende!”.

Lo accese e me lo porse.

Feci un tiro profondo, buttai fuori il fumo e dissi: “Adesso succhiamelo.”

[ … ]

Continuavo a fumare, mentre lei lavorava di lingua e di gola. I pompini erano la sua specialità, devo ammetterlo. Aveva una dote eccezionale, un qualche tipo di potere magico raro. Erano questi i momenti della giornata in cui il tempo si fermava, ed io iniziavo a pensare, a rendermi conto delle cose, a fare congetture sulla vita, sul senso che tutti continuano a predicare. Cose, persone. Atomi uniti a formare gente. Solo i pompini alleviavano le mie giornate, ormai tutte uguali, buttato in quel letto a bere whisky, senza respirare, a guardare quei filmetti senza senso, assorbendo odore di morte.

[ … ]

Gli unici momenti di svago erano quelli in cui Sarah dormiva, ed io di nascosto senza farmi sentire, di solito verso le cinque del mattino, mi alzavo da quel letto funebre ed andavo in veranda, a gustare la timida luce di un altro giorno che iniziava. E scrivevo lettere lunghissime, lettere sul Tutto e sul Niente, sul cazzo e sulla merda… lettere a un amico fidato, colui che mi capiva al solo sguardo al solo cenno. Parlavo dei pompini, certo, ma anche di quanto non sia bello vivere senza lottare, ed io non lo facevo più da troppi giorni.

[ … ]

Il carrello della spesa scivolava sul pavimento, muovendosi come un serpente velenosissimo. Lei comprava soltanto pasta, carne e verdure. Cibo per corpi.

Ed io compravo solo libri birra e whiskey. Il mio nutrimento erano le avventure dei vecchi compagni di sbronze, il mio nettare la birra e il mio ossigeno il whiskey. A parte la sensazione schifa con la quale convivevo ormai da tempo, ogni tanto sentivo dentro al petto ancora qualche scossa. Forse non è tutto perduto! – Pensai un giorno. Potevo ancora fare qualcosa, potevo ancora sputare tutto il catarro che mi aveva ostruito le vie respiratorie. Ma come?

 [ … ]

 Era tornata anche quel giorno. La sensazione di morte non mi abbandonava mai, e già lo sapevo che non potevo continuare in quel modo, così chiamai il vecchio Maurice per andare a farci una birra in qualche sala da biliardo. A lui non sembrò vero, erano almeno due mesi che non mi facevo più sentire. La cameriera ci passò davanti, e lo mosse dolcemente catturando il nostro sguardo. Era come ai vecchi tempi, ai tempi di quando delle cose non ce ne fregava niente, quando era facile cambiare tutto con un semplice schiocco delle dita.

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