Dal quaderno di Jean: Primavera – II

Sono di un blu pallido e profondo, gli occhi di Lucia. Sono occhi che parlano, occhi che ti avvolgono e che ti disarmano. Sono occhi che raccontano, occhi che hanno visto tanto, troppo forse, in così poco tempo. Occhi che hanno passato tante notti insonni a chiedersi un perché, a covare rabbia contro tutto e contro tutti. Sono occhi che hanno pianto lacrime amare per un padre inesistente, e per una madre forse troppo giovane per poter amare quegli occhi…

Protetta nel suo cappottino arancione, Lucia siede accanto al finestrino dello stesso autobus che ogni giorno da Sassari la riporta a Peadas. Nei suoi occhi fragili c’è un passato fatto di pianti notturni, soffocati sotto un cuscino, per una famiglia che l’ha costretta a vivere in una gabbia di cristallo, come un diamante in un museo.

I genitori, testimoni di Geova, la tengono rinchiusa fra casa e scuola, mai uscire un sabato, quasi mai andare ad una festa di compleanno, o in giro con le amiche, o al cinema con un ragazzo.

Lucia non ha mai baciato, mai dato un bacio d’amore, di quell’amore quindicenne e folle come i sogni di una vita diversa, lontana dalle cene d’affari del padre, dalle borse di studio e dalle medie del nove. Avrebbe voluto tanto una vita da passare a rincorrersi sotto la pioggia di notte o a dormire sui prati e a sorridere, felicemente sorridere…

Quando era piccola, Lucia entrava di nascosto nella camera della madre e dall’armadio prendeva i suoi vestiti da sera, le sue scarpe, le collane, gli anelli e i bracciali, poi si metteva davanti allo specchio e faceva finta di essere stata invitata ad un ballo da un principe giovane e bello, così stringeva al petto il suo pupazzo preferito e muoveva passi di danza, con i suoi occhi allegri e spensierati. Ma quella fantasia doveva durare poco, e infatti subito dopo aveva già messo tutto in ordine, altrimenti la mamma si sarebbe arrabbiata vedendola giocare con le sue cose private, con i suoi vestiti e i suoi gioielli, senza rendersi conto che le gemme più preziose erano gli occhi felici di una bambina che sognava di diventare grande, e di poter trovare la felicità in un amore mai ricevuto.

E pensare che, belli come sono, quegli occhi potrebbero essere le Muse ispiratrici per chissà quanti Omeri.

Lucia adesso siede distratta in una panchina della stazione che è piena di gente, che pullula di suoni, di grida e di emozioni di tutti quei corpi che le girano attorno, che salgono e scendono dai pullman, di quella gente che va e viene.

Chissà a cosa pensa Lucia, che cosa vede adesso. Chissà che viaggi straordinari sta facendo con la testa, in quell’universo tutto suo, chissà se sta partecipando ad una cena a lume di candela, con un principe bellissimo, nel ristorante più chic di Parigi, o se semplicemente sta mangiando una pizza con gli amici. Chissà quante volte fa sogni del genere Lucia, quante volte vorrebbe trasformare quei sogni in realtà…

Ecco il solito pullman, che la riporterà a Peadas. Si ferma proprio davanti a lei.

Gli studenti si ammucchiano davanti all’entrata e si fanno spazio a suon di spinte per arrivare per primi nel loggione, nel posto dove si siedono i duri, secondo loro. Salgono anche le casalinghe con i bustoni della spesa, e le vecchie grasse e culone che rientrano dagli ospedali. Qualcuno inizia a lanciare palline di carta, qualcun altro scarabocchia il suo nome nei sedili in plastica, altri ancora ascoltano musica con le radio portatili. Vecchie e casalinghe iniziano a spettegolare tra di loro nei posti di davanti, mentre qualche ritardatario si appresta a salire e a tirar fuori dalle tasche il biglietto. Il pullman chiude la portiera e mette in moto. Fa retromarcia e si appresta a dirigersi verso l’uscita quando dal loggione si sente la voce di una ragazzina:

-Aspetti! C’è una ragazza che deve salire!- Apre il finestrino, si affaccia e urla:

 -Lucia! O Lucì, ajò muoviti che ti sta aspettando.

Lucia alza la testa all’improvviso, come quando si fanno i brutti sogni di notte. Quella voce aveva interrotto i suoi pensieri. Poi si ricorda che deve prendere il pullman, che deve ritornare a casa, alla solita routine.

Si alza a malincuore, prende lo zaino e fa per dirigersi verso il pullman, quando all’improvviso si blocca.

-Ajo Lucì, che se no ti lascia qui l’autista- grida quella voce dal finestrino.

Lucia resta immobile per qualche secondo, poi sospira, e finalmente sorride.

Un sorriso fresco e pulito come il vento di primavera e chiaro come la luna in uno stagno.

I suoi occhi adesso sono più azzurri che mai, e ridono e risplendono nel sole di maggio che illumina la stazione deserta.

-Andate pure, io resto qui!

Commenti

Lascia un commento