Lei era modo svestita
ed i grandi alberi indiscreti
scagliavano sui vetri le foglie
vicini, maliziosamente vicini.
Quel serpente si muoveva in un modo strano, arrapante. Era un serpente verde, con la lingua più biforcuta che avessi mai visto, e ondeggiava, così come ondeggiavano i fianchi su cui era tatuato.
Io me ne stavo lì, a sorseggiare rum da quattro soldi, mentre quel serpente ondeggiava, mi incantava.
Lei si era tolta il reggiseno, diedi uno sguardo fugace al suo petto non abbondante, ma che comunque qualcosa poteva offrire, poi passai subito alle mutandine di pizzo rosa. Si avvicinò alla poltrona e si mise sopra di me, con quel nastrino di pizzo ancora attorno ai fianchi. Mi prese le sigarette
dal taschino della giacca, poi prese un fiammifero e lo accese, sfregandolo sul suo tacco a spillo, con un movimento secco e sensuale; accese la sigaretta e la tenne in bocca. Poi lentamente mi sciolse il nodo della cravatta, mi sbottonò la camicia, aspirò dalla sigaretta, me la mise sulle labbra, e inchinandosi verso di me buttò il fumo sul mio petto sudato.
Volevo guardare il serpente, quel serpente verde, che dondolava sui suoi fianchi.
Svuotai il bicchiere e lo poggiai per terra, poi la presi per i fianchi e iniziai a sfilarle le mutandine, pianoŠ con calmaŠ La carne spuntava fuori lentamente, come il sole all’alba, e quando quel nastrino di pizzo toccò terra, sentii una mano che mi slacciava la cintura, mentre l’altra mi toglieva di nuovo la sigaretta dalle labbra. Fece un lungo tiro, poi la buttò sulla moquette, mi passò un braccio attorno al collo e mi si avvicinò portando le sue labbra vicine alle mie, così dannatamente vicine che mi sfiorarono soltanto, passandomi il fumo dalla sua bocca alla mia.
Non c’era niente di simile a Peadas, non c’erano ragazze che dondolavano sinuose come foglie, che avevano serpenti tatuati sui fianchi. Al massimo avevano qualche piercing nell’ombelico, o sulla lingua, che ormai ce l’hanno tutte, o una farfallina sulla spalla. Ma nessuna ha un serpente verde tatuato sui fianchi, che danza e che ti guarda, ti ipnotizza.
Mi ritrovai in sella a cavalcare il serpente. Danzava e dondolava, guardandomi. Lui ondeggiava e io andavo in paradiso. Mandrie di cavalli mi percorrevano la schiena, come carovane nel deserto. Brividi caldi mi attraversavano, palme scosse dal vento, torrenti schiumosi mi facevano naufragare, fiori notturni sbocciavano in prati verdi, gli oboi suonavano,
sentivo profumi che possedevano il respiro delle cose infinite: come l’ambra, il muschio, il benzoino e l’incenso, e cantavano i moti dell’anima e dei sensi.
Un mare di lava mi trasportava, e il serpente danzava, ondeggiando sempre più veloce, sempre di più. Suoni cristallini sbattevano sui vetri in plexiglas, e ritornavano indietro; prima leggeri mugolii, poi gemiti dolci, poi di più, poi urla di piacere, ed eccomi lì, eccomi in paradiso…
Lei era molto svestita
ed i grandi alberi indiscreti
scagliavano sui vetri le foglie
vicini, maliziosamente vicini.
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