Sento una stretta al cuore. Fissa.
E oggi ancora sono qua, davanti al mare d’inverno, solo, che cerco ancora di capire cose inutili, sapori sbiaditi di cui mi rimane un limpido ricordo. Gli schizzi delle onde, trasportati dal vento incontro a me, mi giungono freschi sul volto segnato, non del tutto sorridente. Rimango seduto sulla solita roccia, cumulo di atomi insignificanti che nonostante tutto per me valgono tantissimo, come la tua carne anch’essa prodotto di reazioni chimiche comuni assunse pregi mai provati.
Perché tutto questo?
Potrei ben proseguire il mio avanzare nella vita, solitario come tutti i migliori, potrei. Non cerco la risposta, so già che fortunatamente ho ancora una possibilità, in qualche luogo e in qualche tempo, e orgoglioso attendo. La mia antica virilità scomparse sempre più, avvinta di filosofie a me detestate, insulse.
Mi rifiuto di accettare le comuni cose, le specialità vilmente storpiate.
Domani avrò quello che ho sempre voluto, ma essendo troppo tardi, non apprezzerò il tuo dono e tutto sarà inutile. Tempo perso. Cibo avariato disgustoso, malato. E’ proprio come dici tu, Giacomo, e stento a crederlo. Mai avrei voluto darti corda, e sempre ottimista rimanevo. Eppur, un modo deve esserci.
Siamo ancora noi i nostri padroni?
Le fredde acque invernali spaccano le montagne, le divorano, le sbriciolano senza fatica.
Buon riposo, amico.
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