Che il paradiso attenda,
ché non mi arrendo così in fretta,
alla faccia del Demonio
che tutti conoscete.
Diverse missioni ho ancora
da compiere, e sì tante
vergini da ammaestrare.
E non gufate, bastardi,
ché senza me
‘l mondo è più vuoto.
Che il paradiso attenda,
ché non mi arrendo così in fretta,
alla faccia del Demonio
che tutti conoscete.
Diverse missioni ho ancora
da compiere, e sì tante
vergini da ammaestrare.
E non gufate, bastardi,
ché senza me
‘l mondo è più vuoto.
Madre. Quale immenso,
sublime, amore incondizionato.
E giaccio esanime tra i vostri seni,
supreme fonti di vita,
con li occhi chiusi, persi
e fatalmente riposati, finalmente.
Il vostro costante sentimento
non bastò a mia sopravvivenza, seppure
insuperabile in bontà e purezza,
contro l’infida esistenza.
Il vostro dolore ora ha il volto della morte,
scolpito sulle carni prosciugate.
Perdonatemi signora, saggia guardiana
di forza natural custode, poiché
il vostro stesso sangue, ora smarrito,
nacque così debole e all’evidenza cieco.
Che belli i bei tempi quando il motore nitriva, quando a quei poveri cavalli selvaggi arrivavano dritti sulla schiena i bisogni d’amore del suo padrone.
Il motore passava rapidamente dalla prima alla quarta, sfiorando i 5000 giri e vibrando potente sotto il piede veloce e violento, come un fantino frusta la sua bestia che da tutto. C’era un particolare feeling tra i due, facevano parte dello stesso corpo, un ibrido carne/metallo perfetto. Tutto era sempre sotto controllo, come un atleta controlla il suo corpo in volo…
Ma la vecchia Fiesta 2000cc del mitico Paolo non potrà più deridere le altre auto ai semafori, o in curva quando passava come un razzo radente il guardrail…
Non sarà più la reginetta della superstrada Sassari – Cagliari, quando riusciva a fare 214 kilometri di strada sconnessa in 1 ora e 20, ai bei tempi.
Lo avevo avvertito; glielo avevo detto di cambiare le gomme. Si vedeva che erano lisce. E poi la pioggia nel mese di Maggio qui a Peadas è furiosa, e la strada troppo viscida, anche per lui.
Anche se, in fondo, è proprio una bella coincidenza. In questo posto accadono cose veramente strane, a volte. Avrebbe fatto di tutto per essere lì a Cagliari, a casa della sua ragazza. Non poteva rinunciare a quel sorriso, a quel viso da bambina che amava così tanto. Tutta la sua forza nasceva proprio lì. Su quella pelle di pesca che gli piaceva accarezzare. Anche se a volte la frutta più bella nasconde il vermetto, dentro, in prossimità del nocciolo; così si vede solo quando è troppo tardi, che tu già hai mangiato e assaporato tutta la polpa più buona e solo dopo ti accorgi che il vermetto c’è sempre stato.
Beh, forse, Paoletto non si è fatto fregare dalla nebbia del mattino.
E poi il mio vecchio amico lo sapeva che la strada nuova non l’hanno ancora terminata, che sbuca nel vuoto.
Sei superficiale tu
Che la mattina conti i tuoi denari
Razzia notturna bottino di vite
Puttana minore godiva del sozzo
Superficiale ciccione
Bastardo smetti di offrirmi
La tua birra che sa di merda
Torna tra i tuoi ladri di facce unte
E tu ragazza per bene
Che hai un culetto meraviglioso
Sarai pur tu ‘na essera viventia
Oppur non godi mai; e allora pensaci
Chiedo al gentil barone brevi
Cortilezze ormai diniegate
‘che il denaro ti si blocchi
alla gola secca avida di amicizie
Le mie ultime bollicine
Saranno pei peggiori grandomini
Qual punition no so che dare
I bisogni del popolo dovreste pulire
Instabile grazia divina fai tu
Sai già che cosa, rendi il dovuto
Ai gran coglioni capocchie bucate
E fai che cadano dal seggiolino
…“vorrei tanto poter cancellare
le ancore che a lei ti legano”
mi diceva,
“con i miei baci farti dimenticare
le questioni che ti attanagliano”
insisteva,
“dalla tua mente i ricordi sollevare
ché anche nel sonno ti soffocano.”
e piangeva.
ed io ascoltavo saggio, silente
mentre lei mi accarezzava,
con le labbra rosse mi baciava,
senza ancora dire niente,
rendendo la sua attesa esasperante
sì che al mio ventre supplicava.
e poi rispuosi
“ma non subito, non adesso,
ancora resto un po’ a rimuginare
con me, e il suo odore addosso
senza fretta stare a rimembrare
‘suo amor che aver non posso.”…
In quel periodo passavo le giornate a guardare film in dvd noleggiati sotto casa e fumare sigarette rollate. Nelle pause la fottevo distrattamente ma a lungo. Era come andare a lavoro ma senza i colleghi.
Quella sera era diverso. Forse iniziava a piacermi la vita che facevo, o forse no.
Me ne stavo sdraiato sul letto, con aria da gran signore, poggiandomi su un fianco mentre osservavo i quadri che le avevo fatto comprare alla galleria d’arte in Viale della Repubblica. “Passami un sigaro, piccola”. Me lo passò dopo averlo preso dal cassetto del comodino. “Non così”, dissi, “prima fai come ti ho insegnato”.
Lei sorrise e mi diede un bacio sulla spalla destra. Lo passò tra le grandi labbra, e poi lo fece andare dentro e fuori per bagnarlo. “Basta così che poi non accende!”.
Lo accese e me lo porse.
Feci un tiro profondo, buttai fuori il fumo e dissi: “Adesso succhiamelo.”
[ … ]
Continuavo a fumare, mentre lei lavorava di lingua e di gola. I pompini erano la sua specialità, devo ammetterlo. Aveva una dote eccezionale, un qualche tipo di potere magico raro. Erano questi i momenti della giornata in cui il tempo si fermava, ed io iniziavo a pensare, a rendermi conto delle cose, a fare congetture sulla vita, sul senso che tutti continuano a predicare. Cose, persone. Atomi uniti a formare gente. Solo i pompini alleviavano le mie giornate, ormai tutte uguali, buttato in quel letto a bere whisky, senza respirare, a guardare quei filmetti senza senso, assorbendo odore di morte.
[ … ]
Gli unici momenti di svago erano quelli in cui Sarah dormiva, ed io di nascosto senza farmi sentire, di solito verso le cinque del mattino, mi alzavo da quel letto funebre ed andavo in veranda, a gustare la timida luce di un altro giorno che iniziava. E scrivevo lettere lunghissime, lettere sul Tutto e sul Niente, sul cazzo e sulla merda… lettere a un amico fidato, colui che mi capiva al solo sguardo al solo cenno. Parlavo dei pompini, certo, ma anche di quanto non sia bello vivere senza lottare, ed io non lo facevo più da troppi giorni.
[ … ]
Il carrello della spesa scivolava sul pavimento, muovendosi come un serpente velenosissimo. Lei comprava soltanto pasta, carne e verdure. Cibo per corpi.
Ed io compravo solo libri birra e whiskey. Il mio nutrimento erano le avventure dei vecchi compagni di sbronze, il mio nettare la birra e il mio ossigeno il whiskey. A parte la sensazione schifa con la quale convivevo ormai da tempo, ogni tanto sentivo dentro al petto ancora qualche scossa. Forse non è tutto perduto! – Pensai un giorno. Potevo ancora fare qualcosa, potevo ancora sputare tutto il catarro che mi aveva ostruito le vie respiratorie. Ma come?
[ … ]
Era tornata anche quel giorno. La sensazione di morte non mi abbandonava mai, e già lo sapevo che non potevo continuare in quel modo, così chiamai il vecchio Maurice per andare a farci una birra in qualche sala da biliardo. A lui non sembrò vero, erano almeno due mesi che non mi facevo più sentire. La cameriera ci passò davanti, e lo mosse dolcemente catturando il nostro sguardo. Era come ai vecchi tempi, ai tempi di quando delle cose non ce ne fregava niente, quando era facile cambiare tutto con un semplice schiocco delle dita.
Lungi da me, donna
Falsa e bugiarda
Come gli dei
Basta fingere
Basta versare
Nettare sulla tua feccia
Ferire un uomo
Già ferito
Vergogna
Ignara creatura
Magnifica e velenosa
Io ti ripudio e ti divieto
In ogni mio contesto
Era uno di quei sabati che promettono miracoli e che poi ti rendi conto che sono più vuoti di una bottiglia rotta per strada. Andai a trovare il mio amico, forse l’unico degno di potersi avvalere di questo titolo, e le cose dovevano svolgersi in questo modo: classica serata Drink & Fuck (che poi si rivela “drink a lot and no fuck”). Uscimmo alla ricerca di qualche pulzella, giovane o tardona non ci importava, dopo aver passato un paio d’ore a bere birrette e giocare a scacchi a casa sua.
Camminando per strada, mi guardai intorno e vidi solo dei corpi inutili, pezzi di merda bastardi ingabbiati e contenti nei loro abitini “mezza stagione”.
Probabile che mi sbagli, ma li ho sempre guardati come gente che sta dentro a un locale fighetto a bere stronzate (bacardi breezer, ecc.) fingendo di essere ubriachi. Credono che il mondo gli giri attorno, solo perché hanno la possibilità di spendere trecento carte ogni serata. Se anch’io avessi il papi ingegnere, il papi medico o il papi supermegacazzuto che mi rifila le chiavi della sua Bmw e un bel po’ di denaro bonus da spalmare nei locali, starei con il mio amico a dimostrare cosa significhi bere veramente…
Ad ogni modo arrivammo in un bar. Io presi un Havana 7 anni con ghiaccio e lui un amaro. Questo per saggiare i prezzi…
Quei rotti in culo ci chiesero 7 euro! Appena arrivò la cameriera con lo scontrino (una sulle quali tette ci potevi annegare), chiesi dov’era il bagno. Gliela “feci” pagare.
Cambiammo locale: pub stile inglese con tutte quelle cose in legno appese ai muri. Dopo cinque-sei sigarette arrivò il cameriere. Aveva la faccia di uno che era stato picchiato da piccolo. Ordinammo un rum liscio e un Jameson. 8 euro cazzo! Forse avremmo fatto meglio a rimanere a casa e svuotare il frigo etilico di ciò che era rimasto. Ma visto che eravamo là belli comodi, molestammo la fanciulla affianco al nostro tavolo.
“Dov’è finito il tuo ragazzo?”, esordì il mio amico.
“E’ per caso andato a puttane?”, continuò.
Lei rimase senza parole ma sfoderò un sorriso imbarazzato e sprezzante che diede l’incipit all’ultimo “sgabbio”:
“Ma pompini ne stai facendo ultimamente?”
Impossibile descrivere il volto sdegnato di colei, che si alzò dal tavolo seguita dalle sue ancelle e si ritirò nelle sue stanze.
“Sei un genio” dissi io.
“E non è finita”, disse lui, “ora vado in bagno e lascio un souvenir…”
Passai una decina di minuti perso negli occhi neri di una ragazza dai capelli sexy.
I miei pensieri vennero interrotti dal mio amico:
“Quello stronzo che hanno picchiato da piccolo ha controllato il cesso e mi ha costretto a scaricare!”
“Almeno si ha sorbito il tuo tanfo di merda” dissi io.
All’improvviso l’Einstein racchiuso dentro alle tempie del mio amico si svegliò, brillando nei suoi occhi:
“A casa ho ancora qualche bottiglia di vino dolce!”