Categoria: Epoca seconda

  • All’ombra di un ginepro

    Sotto l’ombra di un ginepro,
    due giovani amanti, sereni,
    si riposano in cerca di frescura.

    Salute, amore, fortuna hanno,
    e le loro carni, felici, festeggiano
    la vita come un dono da accogliere.

    Porto Torres – 2 maggio 2014

  • Per un capriccio

    Per un capriccio
    ti ho conosciuta, e
    se non ero sicuro prima


    ora ogni mio dubbio
    è crollato , lasciando
    spazio soltanto al buio
    ora che non ci sei più.


    Ti ho amata per la vita,
    ed è stato bellissimo, ancora
    lo rifarei cento e mille volte.


    Quante volte ancora
    proverò un amore così grande
    quante volte ancora e ancora
    taglierò il mio cuore?


    Così è la vita, ci si
    accorge della bellezza
    di ciò che si ha avuto
    solo quando infine
    purtroppo lo si è perduto.

  • Così soli

    Vecchi derelitti camminano
    con lo sguardo basso e
    la schiena ricurva,

    con gli occhi ormai spenti
    sono privi di vita e grigi
    vagano lenti per il mondo.

    E mentre si spostano
    in un’agonia continua
    si consumano del tutto;

    immaginando cose accadute
    tanto tempo fa finiscono
    da soli la loro vita già finita
    e sopravvivono solo per ricordare. 

  • Ricordami così

    Amore mio eterno
    luce della mia vita
    scintilla divina
    eccezione di Dio,

    cosa eravamo noi?

    Unica divina arte
    ancestrale sentimento
    miracolosa fusione
    perfezione letteraria

    sola infinita scienza!

    Ed ora sono morto
    sparita è la magia
    svanita la forza
    perduta è la via

    irrimediabilmente!

    Ricordami così
    come amore perfetto
    nel baratro inciampato
    dalla nebbia distratto

    di te non più degno!

    Ferito il Cuore
    lacrimosa la Coscienza
    zittito l’Universo
    singhiozzante Dio

    uccisa la Speranza.

    e sempre sarà così
    fino alla fine
    di tutto il tempo.

  • Come conobbi Jack Buxton

    Fa’ la brava, o mia Pena, e sta’ più tranquilla.
    Tu invocavi la Sera; essa scende; eccola:
    Un’atmosfera oscura avvolge la città,
    Agli uni portando pace, agli altri affanno.

    Mentre dei mortali la moltitudine vile,
    Sotto la sferza del Piacere, questo boia senza pietà,
    Va a cogliere rimorsi nella festa servile,
    Mia Pena, dammi la mano; vieni qui,

    Lontano da loro. Guarda affacciarsi i defunti Anni,
    Dai balconi del cielo, in vesti antiquate;
    Sorgere dal fondo delle acque il Rimpianto sorridente;

    Il Sole moribondo addormentarsi sotto un’arcata,
    E, come un lungo sudario trascinato verso Oriente,
    Ascolta, mia cara, ascolta la dolce Notte che cammina.

    “Erano passati anni. Sembrava un secolo. I ricordi avevano perso il sapore ed era rimasto solo il lacerante dolore. Il dolore di chi è consapevole di aver buttato nel cesso il proprio talento e di aver tirato lo sciaquone. Talento. Non c’è cosa di più brutta del talento sprecato, mi disse una volta un mio amico. Anzi, il mio più grande amico che poi è diventato un merdoso opportunista rotto in culo. Esatto, come se non ci fossimo mai voluti bene. Non era proprio talento il mio, ma si avvicinava. La mia sofferenza non ha una forma ben precisa, ha una sagoma bidimensionale nera proiettata a qualche metro di distanza su un muro invisibile. Solo io so che c’è. Nessuno potrebbe mai immaginare che ora, brutto stronzo, potrei tirar fuori tanta merda dal mio cappello. Ma è venuto il cazzo di fatidico momento, non ce la faccio più a fare finta che va tutto bene, che tutto è stato fatto nella maniera giusta e che è tutto a posto. A posto un cazzo. Ho commesso il più grande errore nella storia dopo che i nativi americani non hanno massacrato i fottutissimi colonizzatori europei. Dovevano rompergli il culo, dovevano.”

    Verso altro scotch nel mio bicchiere. Una lacrima si sta formando lenta nell’occhio destro, quello dove ci vedo bene. La faccio riassorbire dall’indifferenza verso me stesso. Ho un vuoto dentro, un vuoto universale, non sento più un cazzo di niente verso il mondo intero. La filosofia, la matematica, la fisica, la letteratura… non sento più niente. Si è spenta la piccola fiammella di vita che ero riuscito a non far morire per anni. Si è spenta all’improvviso, senza preavviso, e ha reso un inferno ciò che era un paradiso.
    E voi mi chiedete adesso chi è Jack Buxton? Dovevate chiedermelo quando ancora stavo bene, avrei detto cose molto più divertenti. Potrei parlarvi per giorni di lui, per settimane. E tutto quello che ho da dire non basterebbe né a voi né a me. Ho passato con lui tanto di quel tempo… Tempo bello, tempo brutto. Tutto quello che c’è stato ora è solo un ricordo, l’unica prova che ho, di aver vissuto quei momenti col mio amico, è dentro la mia testa. Non una foto, non un diario, niente di niente. E poi, quando ti perdi di vista, dimentichi sempre qualcosa. E’ vero, non è più come prima, ora ci vediamo una volta ogni sei mesi quando va bene, ma lui è sempre lo stesso. E’ solo un po’ più sofferente ogni volta.

    Mi ha insegnato lui a portarmi a letto le ragazze, già ai tempi dell’Irlanda lui era avanti, e l’ho capito solo dopo tanti anni. Vabbè, lasciamo stare le risse le birre e le fighe del 2000 che quella è roba vecchia.
    La prima volta che l’ho incontrato, entro in un bar e mi siedo nel mio sgabello tra due tizi. Quello di sinistra era un ciccione tatuato con i capelli rossi, anzi arancioni pel di carota. Nel braccio destro aveva una lapide con scritto “Dad RIP” e sotto un cuore. Quello di destra non lo vedevo in faccia, stava con la testa china su un bicchiere di qualche tipo di whisky, probabilmente scotch. Portava una specie di fedora nero in lana e un cappotto lungo, nero anche quello. Chiedo una Guinness al dentone che stava dietro al banco, un tizio biondino magrolino tossico con gli occhi infossati e i capelli lunghi e quello senza neanche rispondere prende e mi spilla la birra al volo. Io, insomma, non è che ne sapessi molto, ringrazio e inizio a guardare la mia pinta. Noto che non c’è schiuma. A un certo punto quello alla mia destra prende e lancia un urlo al barista, una specie di verso strano, tipo “EEEEEHHHHH!!!!!”. Io rimango come un pollo, mentre quello prende e rovescia la birra nello scolo proprio dietro il banco. Il barista lo guarda male e gli dice “Fanculo amico quella la pago io!”. “Ma fanculo così impari a spillare coglione!” replica il tizio, allora il biondino rimane zitto e ne prepara un’altra, questa volta molto lentamente. Era Jack Buxton, fu così che lo conobbi.