Le mie poesie, i miei racconti

  • Il tempo del raccolto

    Ecco, è giunta l’ora soave,
    l’attesa, la dolce, la buona,
    l’ora che il cuore solleva
    come spiga che il sole incorona.

    Tutto si posa, tutto s’intona:
    la falce nel grano che ride,
    l’odore del pane che dona
    la sera alle mani ferite.

    Il tempo si chiude nel cerchio
    che il bue ha tracciato nel campo,
    e il cielo, nell’ombra che cresce,
    si fa della vita un canto.

    Oh, quanta pazienza silente!
    Vangare, seminare, sudare…
    e ora la terra è presente
    con frutti che sanno d’amare.

    E l’uomo si siede, pian piano,
    sul ceppo che un tempo ha tagliato,
    e guarda la vigna, il suo grano,
    il mondo che ha costruito.

    Sorride, col sole nel petto,
    le rughe gli dan compagnia.
    Capisce, nel cuore perfetto,
    che è giunta la sua poesia.

    Che il pane è più dolce al tramonto,
    che il vino ha più canto maturo,
    ché ogni seme nel tempo ha raccolto
    un destino sereno e sicuro.

  • Del mio cammino, per man d’Anima

    Essendo l’umana vita transitoria e piena di perigli e tribolazioni, e ciascuno spirito nato sotto la luna costretto a passar per molte e diverse prove, non è cosa nova che l’animo, in certa etate, si trovi sperso infra le tenebre del dolore, e mancante di lume verace. Onde io, che fui peregrino sopra questa terra, ebbi a trapassare per vie oscure, le quali menano non già a perdizione, ma, con guida casta e pietosa, alla speranza d’alto raggio.

    E però, volendo io narrare cotale cammino – non per vana gloria, ma perché altri che similmente soffra ne tragga conforto e lume – ho composto questi versi secondo l’arte antica del nostro sommo poeta, che del cammino dell’alma fece mirabile canto. In essi, sotto forma poetica e figurata, si mostra la discesa, la purga, e l’ascesa di colui che per dolore conobbe la verità, e per amore fu redento.

    Chi legge, abbia animo aperto e cuore paziente: ché non ogni pianto è disperazione, né ogni oscuritade è priva di luce.


    Sì come ‘l sommo cantor de l’alte cose
    discese prima nel dolor profondo,
    ove il dannato in pianto si ripose,

    e poscia salì al monte sacro e tondo,
    ove purgàrsi l’alme travagliate
    che bramavan salir dal basso mondo,

    finché giunse alle sfere illuminate,
    ove risplende l’etterno Paradiso
    tra voci sante e luci inebriate,

    così m’accadde, nel mortal improviso:
    provai le fiamme d’una doglia oscura
    che mi struggeva come foco acceso.

    Là dove ogni speranza si misura
    con l’agonia ch’allenta il nostro fiato,
    io dimorai tra pena dura e dura.

    Ma quando il core fu quasi disfatto,
    e l’ossa stanche al suol volean cadere,
    parvemi un lume in ciel benedettato.

    E da quel lume, con parole vere,
    discese una figura sì gentile
    che a dirne il nome ancor l’alma si spere.

    “Son l’Anima,” mi disse con sottile
    voce che al cor portava dolce ardore,
    “venni per te da l’empireo più vile.

    Che tu non mora in questo amaro errore,
    ma trovi via che al sommo ben conduce,
    ti sarò guida come fu d’amore.”

    E prese man la mia, piena di croce,
    e m’innalzò per vie ch’eran sì oscure,
    ch’ogn’altra luce a lato parea luce.

    Così salii, purgando le mie cure,
    per ogni pianto e doglia sostenuta,
    fino al confine delle cose pure.

    Là mi condusse, in veste incorrotta,
    ove s’adora l’amor che tutto move,
    e l’alma mia fu salva e ricondotta.

  • Sogni di libertà

    Siamo ancora i nostri padroni,
    o siamo fiumi che scorrono senza sapere la direzione,
    turbati da venti che non vediamo,
    sfiorati da luci che ci fanno ciechi?

    Abbiamo preso in mano il nostro destino,
    o è lui che ci sussurra, silenzioso,
    nelle notti più buie e nelle giornate di sole?
    Siamo ancora la penna che scrive la storia,
    o siamo le pagine, senza parola,
    pronti a essere girati?

    Ci siamo eretti al di sopra delle stelle,
    abbiamo costruito torri che sfidano il cielo,
    ma nelle pieghe della nostra esistenza
    abbiamo perso la chiave del nostro cuore,
    che era, forse, l’unico vero padrone.

    Eppure, nel profondo,
    ascoltiamo la voce del vento,
    che ci parla come un antico saggio.
    Siamo ancora padroni di quel silenzio,
    o siamo figli di esso?

    Il dominio non è più quello che pensavamo.
    Siamo i sogni e i desideri che ci plasmano,
    e la libertà, forse, è un’illusione
    che noi stessi abbiamo disegnato.

    Forse siamo ancora padroni,
    ma di un regno che non conosciamo più.
    Un regno dove il controllo è una piuma,
    e il nostro cuore è il vero timoniere.

  • Al sole che sorge

    Buongiorno a te,
    nuovo sole che sorge
    sugli occhi miei ancora pieni di notte.

    Sei arrivata
    come un raggio testardo
    che attraversa un vetro opaco,
    e non fa rumore
    ma promette primavera.

    Io ero albero nudo,
    senza più fiori né foglie,
    la linfa era prigioniera nel ghiaccio
    tu l’hai scaldata,
    l’hai rimessa in cammino.

    Adesso germoglio,
    non per caso,
    ma perché tu mi vedi.

    Tu sei il giorno che comincia
    e io, come dopo un inverno senza fine,
    riabbraccio la luce.

  • Arriverà la primavera

    Algida l’aria,
    scuro il cielo
    muta
    l’anima ai rami

    un sordo grido incessante
    nel vento

    ho camminato
    sulle ossa
    nella fredda notte
    senza luna
    senza voce

    ma tu
    credici
    quando anche la luce
    si ritrae dal sangue

    il seme
    non ha smesso di battere

    nella crepa
    trema
    una foglia futura

    arriverà
    la primavera
    senza rumore
    senza perdono

    come una ferita
    che fiorisce

  • Più del cïel, quel sorriso

    Quando l’età mia ancora era promessa,
    e il cor vibrava d’impeto gentile,
    fu nel parlar d’un’anima sorella
    che mi si svelò l’Amor più sottile.

    Non solo il corpo, ma la mente bella
    s’innalzò in me con foco quasi ostile,
    ché l’alma sua, di luce universale,
    mosse la mia in un nodo immortale.

    E benché l’anni, con severa mano,
    oggi m’avvolgan nel silenzio amaro,
    né labbra ho più né ascolto profano,

    parmi ieri quel riso puro e raro
    che, più del cïel, degli astri e del piano,
    mi rivelò il divin nell’essere caro.

  • All’anima che dispiega i suoi sepolti ardori

    (Risposta d’un filosofo del natural difetto)

    O tu che l’urna de’ sospiri apristi
    al cauto cerchio de’ savi compagni,
    ove l’Amor, in sua veste fallace,
    giacque spento con gloria di duolo,

    sappi che l’alma mia, simìl piagata,
    porta memoria di fervidi assalti,
    che diletto pareano, e fur ferite,
    nell’ora che la rosa mai più rise.

    Ché questo difetto, nato con noi,
    non v’ha sentenza che lo possa fugare,
    né scienza umana, né fuga di tempo:
    esso regna dove il core dimora.

    E nondimeno, in dolor condiviso,
    si fa intelletto più chiaro e gentile,
    ché tra filosofi del pianto d’Amore
    cresce sapienza che non muore in vento.

    Però, fratello del medesmo ardore,
    non temer di sparger le tue reliquie:
    ché nella polvere del sentimento
    nasce talora il fiore del vero.

    Sassari, 5 Aprile 2025

  • Tra le dita del tempo

    Riconoscere l’eternità
    è l’istante in cui il vento
    non ha più direzione,
    e il mare respira piano
    sotto un cielo che non guarda.

    Un riflesso d’ambra
    scivola tra le dita del tempo,
    come una foglia che cade
    senza peso
    sulla pelle dell’acqua.

    Svegliarsi dopo
    il sonno cosciente

    è un fiore che apre le palpebre
    nel giardino dell’invisibile,
    una voce che torna
    senza suono,
    da una stanza dove il silenzio
    ha il profumo del pane.

    E c’è un’ombra leggera
    che si scioglie sull’alba,
    come se l’anima,
    per un attimo,
    ricordasse
    di essere stata luce.

  • Soavemente si ferma il tempo

    Soavemente si ferma il tempo.

    E all’improvviso di fanciullezza
    vieni travolto a occhi aperti.

    Una vita passata in un lampo.

  • Human

    Thinking,
    of the deep
    of the black
    into the sky.

    Crying,
    uselessly
    being
    human.